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Radiohead a Roma, musica e disagi

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Finalmente. Erano quasi 25mila le persone che aspettavano da mesi oramai – ma per molti l’attesa durava da ben 17 anni: la prima e unica volta che i Radiohead si esibirono nella Capitale è stata nel 1995 –  quello che può esser definito il concerto dell’anno a Roma. Dopo le disgrazie e i rinvii si è tenuto all’Ippodromo Capannelle il concerto di una delle più grandi band in circolazione sulla scena internazionale: i Radiohead, la band inglese capitanata da Thom Yorke che sabato scorso ha letteralmente mandato in visibilio il pubblico romano grazie a un concerto strepitoso.

L’aria è elettrica, l’energia è palpabile. C’è sempre una grossa carica adrenalinica quando la band di Oxford sta per esibirsi. Riscaldato dal gruppo spalla Caribou, quando il chitarrista Johnny Greenwood fa la sua comparsa sul palco, seguito dagli altri componenti della band, l’entusiasmo tra il pubblico è alle stelle, ma è con l’apparizione di Thom Yorke che viene raggiunta l’apoteosi. Per l’occasione sfoggia un nuovo look  molto più elegante del solito, con i capelli lunghi legati in una inedita coda. La serata è particolare per lui che  stranamente si lascia anche andare in brevi sketch  in italiano, in cui si finge tonto, scatenando l’entusiasmo dei numerosi fan giunti al seguito.

Si parte con  Lotus Flower e il pubblico si infiamma: i dodici schermi al led giganti che illuminano a giorno l’arena sono lo strumento grazie al quale la band riesce a catturare con il connubio musica-immagini un pubblico già in estasi. Le canzoni in scaletta appartengono in prevalenza agli ultimi due album (In Rainbows, del 2007, e The King Of Limbs, del 2011) ma sono stati eseguiti anche brani che fanno parte di quella che può esser definita la “prima era” dei Radiohead, con Planet Telex tratta dall’album The Bends e Paranoid Android da Ok Computer. Un concerto fantastico, durato due ore e venti per un totale di 24 brani tra cui , tutti riarrangiati con due batterie grazie all’innesto nella band di Clive Deamer dei Portishead ed eseguiti anche con un certo grado di sperimentazione, cosa insolita per la band che solitamente, durante i propri concerti, esegue fedelmente i brani del proprio repertorio.

Tutto davvero molto bello ed eccitante: l’unica nota stonata, come prevedibile nella Capitale, l’organizzazione logistica.
Già molte ore prima del concerto la zona di Capannelle era nel caos per il traffico impazzito, la colonna di auto cominciava ancor prima di entrare a Roma dal raccordo anulare. Dopo aver marciato a passo d’uomo per quasi un’ora, arrivati presso il parcheggio dell’Ippodromo gestito dalla società Profide Srl, con già i 5 euro (l’abituale costo del parcheggio) in mano,  in molti sono stati colti di sorpresa  dalla richiesta fatta dal parcheggiatore, ossia  pagare il doppio del biglietto per il parcheggio, 10 euro.  Con la colonna d’auto lunga almeno un chilometro, non restava che pagare la tassa. Il parcheggiatore, in evidente difficoltà e con tono imbarazzato ci dice: “Non posso far altro che darvi ragione, è una vergogna. Ma è l’unico parcheggio dal quale si raggiunge in pochi minuti l’area del concerto, voi che entrate ora sarete anche i primi a uscire…  Per questo motivo ci hanno ordinato di chiedere tariffa doppia”. Speculazione sul costo del biglietto del parcheggio: questa davvero ci mancava. Nella giugla laziale è previsto anche questo. Poi prosegue: “Infatti, devo anche rilasciare una doppia ricevuta da 5 euro” e così dicendo stacca non uno (come solitamente accade), ma ben due tagliandini.

Per la cronaca, erano in centinaia le persone infuriate per questo che è stato definito all’unanimità un furto. Sono anche episodi come questo che rendono la Capitale poco appetibile da parte delle grandi band internazionali, che molto spesso snobbano Roma preferendo altre grandi città più organizzate e soprattutto più accoglienti.

tovato su: Il Fatto Quotidiano

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