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Tutti gli errori di Romney

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Glauco Maggi 

Promosso con voto pieno, un 7 e mezzo complessivo. Per arrivare al punto magico del foto finish nella sfida per conquistare la Casa Bianca, Mitt Romney ha dovuto condurre una doppia, e sostanzialmente riuscita, campagna elettorale. La prima è stata all’interno del suo partito, galvanizzato dalla vittoria alle elezioni di medio termine del 2010 in larga parte dovuta all’entusiasmo e alla spinta dei conservatori radicali dei Tea Party: presentandosi con il bagaglio ingombrante da governatore necessariamente moderato di uno stato liberal come il Massachusetts, la nomination non era affatto scontata. Ha dunque dovuto eliminare via via personaggi-meteore (Perry, Cain, Santorum, Gingrich), sinceramente più sbilanciati a destra di lui sulle questioni religiose ed economiche, e per i quali faceva un tifo interessato Obama. A giugno, relativamente presto, Romney si è così assicurato il numero di delegati per la consacrazione alla Convention di Tampa di fine agosto. 

Per questa prima fase, un bel voto: 8 e mezzo. Da qui in poi la strada s’è rivelata certo più accidentata, con qualche infortunio ma anche con imperiosi scatti di qualità. Se si considera che aveva di fronte un personaggio entrato già nella storia per essere il primo presidente nero, e partito nel 2009 con un capitale di favore popolare di quasi il 70%, la performance di Romney doveva risultare davvero buona per non farsi sbaragliare: si sa che chi è in carica ha un enorme vantaggio e i presidenti che sono rimasti tali per un solo mandato rappresentano le eccezioni (Jimmy Carter e Bush padre).  E dunque, complessivamente, nel testa a testa con Barack il voto per Mitt è 6, 5. Ecco come è maturato.

 Partito riunito: voto 9  Con la scelta di Paul Ryan come suo secondo, Romney ha dimostrato di aver coraggio, e di essere serio nel voler affrontare il superdebito federale che Obama ha gonfiato da 10 a 16 trilioni. Il deputato del Wisconsin, capo della commissione bilancio alla Camera, è l’emblema nel Gop della politica di rigore fiscale, e quindi della necessità di riformare gli enti sanitari, assistenziali e pensionistici per non far fallire il Paese.

La gaffe del 47%: voto 5  Un conto è avere chiaro in testa che sono sbagliate le politiche di Obama e dei democratici, che finiscono con il drogare di welfare larghe fette della popolazione per legarle al loro carro. Un altro è apparire cinici e sprezzanti nel considerare quasi metà dell’America come «una parte di cui non mi curo, perché non li convincerò mai». Anche se lo ha detto ad un evento privato, ha sbagliato. Nel merito, perché un presidente deve trovare il modo di offrire una prospettiva di crescita individuale di emancipazione a tutti i cittadini. E nella forma, perché in campagna elettorale non esistono audience sicure, e l’autogol è in agguato sempre.

I dibattiti in tv: voto 9   Anche se si è imposto, almeno secondo i sondaggi del giorno dopo, soltanto nel primo dei tre, lo ha fatto con una nettezza tale che ha invertito solidamente il trend che viaggiava a favore del presidente dalla fine delle due Convention. Il suo valore è stato pari ad una finale di coppa, perché al centro c’era l’economia e Romney è stato brillante nel fare gol e nel non prenderne. Ha mostrato al Paese che i quattro anni di Obama sono stati un fallimento, con i terribili numeri dei senza lavoro, del debito, della crescita che parlavano da soli. E ha esposto la sua linea alternativa per raddrizzare l’economia, con la riforma delle tasse e la promessa di 12 milioni di posti, che è apparsa credibile. Negli altri due confronti, dal valore di due amichevoli anche se Obama ha fatto il duro e l’aggressivo, Romney ha solo puntato a mantenere le posizioni conquistate nei sondaggi, e vi è riuscito. Era dietro di 4-5 punti prima della sera del 3 ottobre, quella del dibattito di Denver, e poi, per una ventina di giorni di fila, è via via salito fino ad avere 5 o 6 punti di vantaggio (Gallup e Rasmussen).

Immigrazione: voto 5   Era un tema difficilissimo per Romney, perché si sapeva che Obama avrebbe inventato negli ultimi mesi una mossa astuta per raccogliere dietro di sé il grosso degli ispanici, interessati ad avere una sanatoria degli irregolari. E infatti Obama ha firmato qualche mese fa l’ordine esecutivo che vieta la deportazione di tutti i giovani dai 14 ai 30 anni. Romney ha subìto l’iniziativa del presidente, di fatto rinunciando a esporre una sua linea. E quando è intervenuto è stato per ribadire una politica di chiusura, che avrà rassicurato i «legalisti» ma ha alienato i latinos.

Bengasi: voto 6  L’ambasciatore Usa ucciso in Libia, e l’intera gestione di Obama-Biden-Hillary dell’episodio, sono stati davvero uno scandalo. La stampa ha fatto muro per non farlo scoppiare, e Romney ha deciso di non attaccare direttamente Obama nel confronto di politica estera. Un’occasione sprecata? O una saggia decisione per non apparire un avvoltoio su una questione di sicurezza nazionale? 

Sandy: voto 5  Che cosa poteva fare Romney per contrastare il presidente che ha cavalcato per due giorni l’uragano prima dalla Casa Bianca e poi visitando il New Jersey? Forse poco, ma l’aver optato per la sospensione per un solo giorno dei comizi è stato pari a nulla. Sandy è il motivo dello stop alla crescita dei sondaggi per Romney, anzi per la parità quasi perfetta del giorno del voto (49-48 per Mitt da Rasmussen e 48-8 per Gallup). Come era andato alla serata benefica del cardinale Dolan di New York, poteva affiancare Obama in New Jersey o organizzare una visita a New York o in uno degli Stati colpiti. 


pubblicato da Libero Quotidiano

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